“Regina” di Alessandro Grande: la recensione
Una diversa concezione del rapporto cinema-territorio, quella più autentica: il territorio come linguaggio cinematografico, come elemento non accessorio ma protagonista, metafora – come sottolinea lo stesso regista – delle emozioni dei personaggi, elemento narrativo e non sfondo. Un territorio identitario e universale al tempo stesso: e per la Calabria è qualcosa che non è avvenuto con facilità in passato, anzi, possiamo dire che forse questa sia una delle rarissime volte in cui si è utilizzato il territorio in tal senso. Un film in cui si racconta una storia di un padre e di una figlia, di un rapporto familiare, di una crescita, di una presa di coscienza: una storia universale, raccontata in Calabria.
“Regina” di Alessandro Grande, presentato oggi come unico film italiano in concorso al Torino Film Festival, rappresenta, dunque, un momento importante, che attesta un profondo cambiamento nella lettura del territorio, del fare cinema in questo territorio, raccontandolo e rendendolo metaforico al tempo stesso. Il tutto attraverso uno sguardo cinematografico ben preciso, ben calibrato, un uso della macchina da presa che mostra una maturità registica, una mano sicura, nonostante Grande sia alla prima prova nel lungometraggio: piani sequenza utilizzati non in chiave estetizzante, ma funzionali al racconto, per entrare nel racconto stesso, per seguire i personaggi nel loro percorso. E questo conferisce una fluidità di ritmo alla narrazione, che è sicuramente uno degli elementi portanti del film.
C’è il sogno della musica (che accomuna la giovane protagonista al regista), c’è il dolore inespresso di padre e figlia, ci sono i tanti non detti, mediati dagli sguardi di Francesco Montanari e della giovane Ginevra Francesconi, emozionante e talentuosa anche nel canto. E la musica è parte essenziale di “Regina”: la canzone principale, l’intera colonna sonora, si integrano perfettamente con le atmosfere del film, le creano insieme alla fotografia. Elementi che costruiscono la maturazione dei protagonisti, ma anche quella del cinema “made in Calabria”, che oggi viene attestata anche dalla prova di Grande.